giugno 2025

1323 maggio 13, Avignone

Il Papa Giovanni XXII scrive al consiglio e alla comunità di Ascoli, e concede loro il diritto di costruire un porto sul mar Adriatico. Il Papa riconosce la lealtà e la devozione di Ascoli verso la Chiesa Romana e, in risposta alla loro umile richiesta, autorizza la costruzione del porto come feudo perpetuo condiviso a metà tra Ascoli e la Chiesa. Il documento stabilisce che il porto deve essere costruito e mantenuto a spese comuni, con regole specifiche per la ripartizione dei costi di riparazione e difesa, e che i ricavi generati saranno equamente divisi. Vengono inoltre imposte condizioni, come il divieto per ribelli e nemici di risiedere nel porto e l’obbligo per Ascoli di prestare giuramento di fedeltà al Papa e al rettore della Marca di Ancona ad ogni cambio di pontefice o rettore.

Giugno, l’ultima campanella della scuola e poi tutti al mare!

I ragazzi di Ascoli e le loro famiglie passeranno parte delle vacanze estiva a Porto d’Ascoli. Ma come mai questa frazione del comune di San Benedetto del Tronto ancora oggi si chiama così? Il Porto di Ascoli…

L’origine del nome ha sicuramente le sue radici nella storia passata e il documento che presentiamo questo mese “La concessione del Porto agli Ascolani” da parte del papa Giovanni XXII nel 1323 ne è chiara testimonianza.

Prima di parlare del documento, una pergamena papale conservata nel fondo diplomatico dell’Archivio Storico del Comune di Ascoli Piceno, il cosiddetto Archivio Segreto Anzianale, sarebbe opportuno riscostruire gli avvenimenti che hanno portato all’emanazione di questo documento.

INTRODUZIONE STORICA

Ascoli aveva il suo sfogo naturale verso il mare al termine della via consolare Salaria, che univa Roma al mare Adriatico. Alla foce del fiume Tronto esisteva un fortificato navale chiamato Castrum Truentinum posizionato sul lato nord del fiume, mentre a sud c’era un vero e proprio centro abitato Truentum. Entrambi questi insediamenti ebbero la stessa sorte con l’invasione dei Goti prima, e dei Longobardi poi. La loro distruzione diede il via al fenomeno dell’incastellamento locale con la creazione di Monte Cretaccio, San Benedetto, Marano, Sculcula ecc. Ascoli rimase arroccata nel suo guscio lambito dai due fiumi Castellano e Tronto mentre Fermo iniziò una vera a propria espansione territoriale che la portarono ad arrivare a possedere i territori fino alla foce del Tronto a seguito delle donazioni imperiali di Lotario I, inizialmente, e Ottone II, in seguito, insieme a lasciti, prestarie e precarie a favore dell’Abbazia di Farfa con la quale si spartiva i territori. Tale situazione fu confermata da Ottone IV nel 1211 e successivamente da papa Onorio III cosicché Ascoli si trovò all’inizio del XIII secolo priva del suo sbocco sul mare chiusa nel suo entroterra grazie al quale, come abbiamo visto il mese scorso, iniziava a risvegliarsi economicamente con il fiorire di un mercato senza la possibilità di commercio esterno. Nel 1245, però, l’imperatore Federico II, che 5 anni prima aveva fatto saccheggiare e distruggere parzialmente la città senza riuscire a conquistarla, concesse ad Ascoli il diritto di ricostruire il porto alla foce del Tronto, in spregio ai diritti dei fermani. Fermo cercò di invalidare la concessione imperiale ma, non riuscendovi, dopo la morte dell’imperatore avvenuta nel 1250, attaccò direttamente gli ascolani nel 1255 iniziando una escalation di violenze reciproche riportate dalle cronache cittadine e dai documenti conservati negli archivi sia di Fermo che di Ascoli. Nel frattempo gli ascolani erano passati dalla parte del Papa, che viveva la sua cattività avignonese (1309-1377) e che, nel 1319, gli aveva chiesto di mettersi a disposizione per cercare di tenere a bada le ribellioni da parte di alcune città marchigiane ghibelline. La ricompensa per questa fedeltà non tardò ad arrivare tanto che il 13 maggio 1323 Giovanni XXII concesse un privilegio raro, la concessione in “fedo perpetuo” di un tratto di spiaggia dal Ragnola al Tronto, con l’obbligo di costruirvi subito un porto, buono e attrezzato, e che costituisse una ritorsione nei confronti dei ribelli fermani.

ANALISI DEL DOCUMENTO

Questa concessione, avvenuta a mezzo di bolla papale, una littera gratiosa cum filo serico tipico dei documenti della cancelleria papale, è il documento che vi presentiamo questo mese. Una pergamena di dimensioni ragguardevoli (790×515 mm), il suo stato di conservazione è discreto, il sigillo deperditum doveva essere uguale a quelli presenti in altre pergamene dello stesso fascicolo (cfr. A/II/5, A/II/6,  A/II/7) i quali a differenza sono legati alla pergamena tramite filo canapi (tipico delle litterae executoriae meno raffinato della seta che si usava per le concessioni papali) ma riportano su un lato il nome del pontefice IOHANNES XXII e sull’altro le effigie dei patroni della chiesa romana San Paolo e San Pietro (SPA e SPE). Le pieghe in cui era anticamente conservata la pergamena hanno compromesso la sua integrità provocando degli strappi sul lato destro all’altezza della mediana del documento ed anche più in basso. Nel corpo della pergamena in corrispondenza di queste piegature sono presenti anche delle lacune che, per fortuna, non inficiano la lettura ed anche le abrasioni sono piuttosto evidenti. Sul verso della pergamena (il cosiddetto lato pelo) sono presenti annotazioni coeve “Privilegius portus”, “Privilegius portus Esculanorum”, “Pape Johannis XXII, Datum Avinioni, qui fuit creatus de anno 1316 et obiit in anno 1334” che ci dà gli estremi del papato di Giovanni XXII e l’indicazione della sede papale ad Avignone, ed in basso nella plica il nome dello scrittore “B. Romanus”, altre annotazioni più recenti,  di mano, probabilmente, di padre Luigi Pastori, ci danno un piccolo regesto del contenuto della bolla papale e la sua collocazione archivistica A / II / 1.

Tra i caratteri estrinseci del documento, risalta la scrittura, tipica cancelleresca papale, posata, elegante e arricchita di svolazzi e legature a ponte (tra le lettere S e T) e le iniziali decorate (sopra le altre la bellissima decorazione del nome del papa JOHANNES in caratteri più grandi e allungati soprattutto la J) che scandiscono le parti del documento.

Il protocollo è composto dall’intitulatio (nome del papa) seguita dalla formula humilitatis (servus servorum dei) poi l’inscriptio ovvero i destinatari (dilectis filiis suis, conscilio et communi civitatis Esculane) ed infine la salutatio (salutem et apostolicam benedictionem).

Segue poi la parte centrale del documento, il tenor, composto dall’arenga o preambolo (che inizia con il Dum decorato e scritto con carattere più grande e in grassetto e dove si dà la spiegazione del perché si è intrapresa la concessione e che è specificata nella sincera devozione degli ascolani nei confronti della Chiera romana), dalla narratio in cui si spiega che per arricchire, privilegiare e innalzare l’onore della città di Ascoli vicina al litorale adriatico si concede (dispositio) in fedo perpetuo il tratto di spiaggia che va dal torrente Ragnola alla foce del fiume Tronto dove gli Ascolani devono costruire un porto seguendo delle clausole che vengono specificate e che attestano la proprietà delle Chiesa Romana a cui spetta la metà degli eventuali proventi. Infine nel penultimo rigo, sempre evidenziate le lettere in grassetto e di grandezza maggiore seguono il decretum o minatio (Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre concessionis et voluntatis infringere vel ei ausu temerario contraire) e la sanctio (Si quis autem hoc actentare presumpserit, indignationem (tt) Omnipotentis Dey et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum). Il documento termina con l’escatocollo formato dalla datatio topica (Avinioni) e cronica (III°. idus maii, pontificatus nostri anno septimo ovvero il terzo giorno prima delle idi di maggio che, insieme ad altri mesi ma differenza della maggior parte degli altri mesi dell’anno cadono il 15 del mese e non il 13, e quindi siamo nel giorno 13 maggio 1323).

Le clausole, molto stringenti, a cui gli ascolani dovevano attenersi erano le seguenti:

  1. Il porto, il lido, l’acqua, la loro proprietà, il possesso, i frutti, i redditi e i proventi futuri devono essere divisi a metà tra la città di Ascoli e la Chiesa Romana;
  2. Le spese per eventuali riparazioni, ristrutturazioni saranno ripartite in parti uguali tra la città di Ascoli e la Chiesa, se l’importo di tali opere dovesse superare i cento fiorini; saranno a carico del Comune di Ascoli nel caso la somma fosse inferiore;
  3. Le spese di custodia e difesa, in caso di guerra o minaccia o aggressione navale saranno divise tra Ascoli e la Chiesa, mentre le altre saranno a carico del comune di Ascoli;
  4. Sono assolutamente esclusi dal porto i ribelli e i nemici della Chiesa o della città di Ascoli. È fatto divieto a queste persone di costruire abitazioni o altri ripari nelle adiacenze del porto;
  5. Agli ascolani è concessa facoltà di costruire a loro spese un altro eventuale porto in aggiunta al primo o in sostituzione, con l’estensione sullo stesso dei diritti della chiesa e sempre in ragione della metà;
  6. Nessun nemico della Chiesa o ribelle potrà essere designato a raccogliere o incassare i frutti e le gabelle spettanti al comune ed alla Chiesa, né potrà ricoprire nel porto qualsiasi carica;
  7. A titolo di riconoscimento della particolare soggezione feudale del porto alla Chiesa, ogni incaricato a nome del comune, della reggenza del porto, dovrà prestare giuramento di fedeltà, ad ogni rettore o legato pontificio, che in futuro sarà destinato a governare la Marca anconetana;
  8. Saranno divisi a metà anche i proventi pagati dai cittadini ascolani e da quelli del distretto, a titolo di dazio nella stessa misura pagata dagli anconetani nel loro porto;
  9. È concessa facoltà agli abitanti di Ascoli e del distretto di stabilirsi e abitare nel porto e di essere protetti a difesi, fatta sempre eccezione per i ribelli e i nemici della Chiesa;
  10. La concessione di questo porto non pregiudica eventuali precedenti diritti di passaggio o di pedaggio di Ascoli sul territorio al di fuori del porto.

Come si può ben capire dalle clausole, l’opera di costruzione del porto ebbe un certo peso nell’economia cittadina tanto che già nell’agosto dello stesso anno un’altra lettera di Giovanni XXII (cfr. A/II/2) spronava gli ascolani nel perseguire nella fedeltà alla Chiesa nella lotta contro i ribelli fermani e anche nel 1325 sempre lo stesso pontefice scrive al Rettore delle Marca (cfr. A/II/4) affinché favorisca e presti assistenza agli ascolani per l’edificazione del porto e addirittura sospende le gabelle (cfr. A/II/7) purché si porti a compimento il porto.

Interessante notare come Giovanni XXII raccomandi al Doge di Venezia di aiutare e difendere il porto da erigersi dagli ascolani sotto la rocca di Monte Cretaccio (cfr. A/II/6 lettera del 1 ottobre 1325) il che va di pari passo con il trattato economico che venne stipulato, il 4 luglio 1326, tra Venezia e la città di Ascoli per favorire gli scambi commerciali tra le due città ora che, dopo ben 2 anni, l’edificazione del porto era stata portata a termine.

Il trattato, infatti, è riportato nel Quinternone, il liber iurium del Comune di Ascoli, alle carte 265v-266v ed è stato stipulato il 3 luglio 1326 a Venezia. Si tratta dell’unico trattato che si conservi integralmente tra la Regina dei Mari e le città delle Marche. È stato detto che più che un trattato sembra piuttosto un dictat da parte di Venezia nei confronti della giovane Ascoli; effettivamente nelle convenzioni si parla di parti avversarie, addirittura nemiche ed in procinto di diventare amiche in virtù del trattato. Si componeva di otto articoli, di cui i primi sette si riferivano alle garanzie accordate ai cittadini e ai mercanti veneziani e l’ultimo alla garanzia a favore degli ascolani. I primi sette erano inerenti ai seguenti argomenti a favore dei veneziani: essere salvi e sicuri nel territorio ascolano, comprare e vendere qualunque mercanzia anche se proibite dalle leggi ascolane, tenuta delle strade e altre vie di comunicazione sicure da parte degli ascolani, impegno di questi ultimi a risarcire i veneziani per eventuali danni causati da furti o offese, procedure giudiziarie rapide e sommarie nel rendere giustizia ai veneziani, facoltà dei lagunari di acquistare ed esportare qualsiasi prodotto da Ascoli e dal suo territorio, divieto di iscrivere persone straniere nel registro dei commercianti ascolani. L’unico articolo riguardante gli ascolani normava le seguenti regole: diritto di libertà di soggiorno e di movimento in tutta Venezia e suo territorio, facoltà di tenere mercato, comprare e vendere con i veneziani senza dover pagare le tasse dette di quadragesimo sulle merci, facoltà di esportare a Venezia tutti i prodotti della terra e delle industrie ascolane, possibilità di fare scalo e mercato anche a Rialto che era il centro commerciale della laguna.

Il contratto doveva avere durata decennale, a dimostrazione del suo carattere di prova, ma come dimostrato nella lettera del Doge Michele Steno, presentata il mese scorso, ancora nel 1410 questi patti erano vigenti ed erano supportati dai veneziani che riponevano grande stima negli ascolani. Qualche incidente, inevitabile, non riuscì ad incrinare i rapporti amichevoli tra le due città.

Anche se nel 1348 i fermani, a soli venti anni circa dalla sua costruzione, riuscirono a distruggere quanto creato dagli ascolani, il destino del porto era quello di proseguire la sua vita commerciale e non solo, tanto che nel 1571 dal porto ascolano si imbarcarono 150 montanari di Spelonga per andare a combattere a Lepanto, tornando vittoriosi e con un importante vessillo che ancora oggi viene issato e celebrato ogni tre anni nella festa popolare del paese. Nel XVII secolo lo spopolarsi della zona marina, le continue lotte intestine nella città di Ascoli resero il porto quasi totalmente inutilizzato e lasciato in stato di totale abbandono e miseria. Il governo pontificio continuò a gestire il territorio che arrivò al periodo dell’Unità d’Italia quando venne comprato all’asta dalla famiglia Laureati di Grottammare.

Del porto non resta oggi che una torre mezza diruta a simboleggiare gli scontri avvenuti, e il nome Ascoli che associato al Porto ci restituisce l’attuale abitato, frazione di San Benedetto del Tronto.


FONTI ARCHIVISTICHE

ASAP, ASCA, Archivio Segreto Anzianale, pergamene fascicolo A/II/1, 2, 3, 4. 5. 6. 7.

ASAP, ASCA, Quinternone reg. 40, cc. 193rv, 264r-266v.

BIBLIOGRAFIA

BORRI G., Il Quinternone di Ascoli Piceno, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 2013, pp. LII-LIV, docc. 117, 238, 239, 240.

DE SANTIS A., Ascoli nel Trecento, vol I (1300-1350), Rimini 1984, pp. 159-197, 293-378, 521-523.

FRANCHI A., Ascoli Imperiale, da Carlo Magno a Federico II (800-1250), Ascoli Piceno 1995, pp. 272-278.

NEPI G., San Benedetto del Tronto, storia, arte, folclore, Ascoli Piceno 1989, pp. 25-110.



IntitulatioJohannes episcopus servus servorum dei


Inscriptiodilectis filiis suis, conscilio et communi civitatis Esculane”


Salutatiosalutem et apostolicam benedictionem


Legature a ponte


Decretum o MinatioNulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre concessionis et voluntatis infringere vel ei ausu temerario contraire


SanctioSi quis autem hoc actentare presumpserit, indignationem (tt) Omnipotentis Dey et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum


Datatio “III°. idus maii, pontificatus nostri anno septimo” ovvero il terzo giorno prima delle idi di maggio che, insieme ad altri mesi ma differenza della maggior parte degli altri mesi dell’anno cadono il 15 del mese e non il 13, e quindi siamo nel giorno 13 maggio 1323


Sigillo plumbeo con filo di canapa ASA, PERG. A/II/6