Preziosi utenti, amici, non potendo venire voi da noi, veniamo noi da voi! L’Archivio di Stato di Ascoli Piceno ha aderito alla campagna #iorestoacasa promossa dal MiBACT mettendo a disposizione di tutti, sui nostri canali social, alcuni esempi del suo ricchissimo patrimonio documentario.

Vi presentiamo oggi il documento più antico conservato dall’Istituto. Si tratta di uno scriptum prestarie, datato aprile 1028, attraverso il quale Odoisa, badessa del monastero di S. Michele Arcangelo di Ascoli, concede in prestaria a terza generazione ad Adamo, Giovanni, Lupone, Benedetto, Letone, Sassone, Marco e Pietro duecento adunate di terra in località Gualdo di Ceresia, dietro corresponsione di un canone annuo di dodici denari tra cera ed argento, da pagarsi in maggio nella festa di S. Michele Arcangelo o entro la sua ottava, ed un’entratura di quaranta soldi, pagata in mobilia, usati per il restauro del monastero.

Come tutti i grandi proprietari terrieri, anche le monache del monastero di S. Angelo Magno di Ascoli, solevano mettere a coltura i loro appezzamenti di terra attraverso l’istituto dell’enfiteusi. La formula prevalente di stipulazione di enfiteusi era la precaria cioè la richiesta per ottenere in usufrutto un fondo rivolta al suo proprietario, mentre la prestaria era la risposta che concedeva il fondo richiesto. Nell’enfiteusi la proprietà del fondo rimaneva al concedente, all’enfiteuta spettava l’usufrutto ossia il godimento di tutti i frutti della terra e di ciò che vi era sopra e sotto di essa. All’enfiteuta era fatto divieto di vendere, concedere, permutare e sottrarre la terra ed aveva l’obbligo di versare un canone annuo al monastero in occasione della festa del suo patrono o nella sua ottava. Spesso il precarista, al momento della concessione, dava una somma di denaro alla badessa che la utilizzava per le opere utili al monastero, come nel caso del nostro documento. Terminava il contratto l’impegno di mantenere fede al patto concordato, fissando la pena in caso di contravvenzione, solitamente pari al doppio delle spese, o anche di più, per il danno subito dal monastero. Caratteristica e conferma della natura enfiteutica di queste concessioni è la loro durata a tre generazioni. Il diritto di successione nel fondo enfiteutico era garantito solo ai figli maschi. In caso di interruzione della linea maschile con ogni probabilità la terra tornava al monastero. Altra caratteristica dei contratti enfiteutici era l’obbligo di migliorare quanto ricevuto e l’obbligo di fedeltà al monastero, diventandone suo vassallo.

Il documento rappresenta al meglio la fase che precede il passaggio dalla cartha all’instrumentum notarile vero e proprio: infatti sono ancora presenti le diverse formalità necessarie per la validazione delle disposizioni in esso attestate e reca i segni palesi dell’intervento nella fase di compilazione non solo del notaio, ma delle stesse parti e dei testimoni. Scomparse, nel corso del XII secolo, le tracce di interventi di mani diverse da quelle del notaio e mutato il linguaggio stesso del documento, dove le parti non dialogano più tra loro ma rimane solo la voce del notaio che descrive e attesta le dichiarazioni di volontà manifestate in sua presenza, il vecchio documento notarile, la charta, diventerà così l’instrumentum.

Siamo chiusi ma siamo a disposizione del Paese, perché il patrimonio culturale è del Paese. Restate connessi.

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